25 novembre 2022 § Lascia un commento

Sulla superficie del mare

nei prati, nei campi

nel cielo incombente

lo sguardo distoglie

e si ferma sull’onda,

sul velo di nubi che sfumano il sole,

sul corvo annoiato, sul ciuffo residuo

lo stagno e il fienile.

Allora perché ti stupisce Il mio cuore che a volte trema al vederti

o a volte rallenta se solo tu, amore mio, sei con me?

15 dicembre 2016 § Lascia un commento

Cronaca scorrettissima di un improbabile inviata de Il Napolista alla Fiera della Piccola e Media Editoria di Roma.

 

Da qualsiasi punto di vista la vogliate guardare PLPL2016 di Roma è la più importante fiera dell’editoria del Sud Italia. Con i suoi 359 espositori, i più di 200 eventi tra presentazioni laboratori e reading dispiegati su cinque giorni di lavori attrae oltre ad un numeroso pubblico una miriade di blogger che, mai come quest’anno si sono resi protagonisti di un vivace dibattito e un intensa attività sui social. Tanto intensa che viene da chiedersi se queste manifestazioni non siano state organizzate ad esclusivo uso e consumo delle succitate bloggers, alla faccia delle pari opportunità sono quasi tutte donne, che impazzano a frotte tra gli stands consumandosi il ditino twittando decine di hastag al minuto per ogni evento al quale  assistono. Ho letto blogger paragonare qualsiasi libro all’unico LIBRO della loro vita, spesso un classico della letteratura contemporanea americana, ed altri che dichiarano di leggere, e purtroppo di recensire, 150 testi all’anno dei quali i sette ottavi sono capolavori assoluti. I restanti letture imprescindibili.

Ma torniamo all’umile inviata che essendo al secondo anno d’esperienza ha subito messo in pratica le sue insuperabili capacità scroccando il WiFi, inspiegabilmente a pagamento, la poltroncina, merce rarissima e molto ambita, e i tramezzini in sala stampa. Parterre da Il diavolo veste Prada; giornaliste bellissime e diafane ovunque, capelli cortissimi dai colori improbabili con la faccia perennemente incazzata presenziano un nanosecondo giusto il tempo di farsi notare per poi correre ai laptop a buttare giù il pezzo. Direttori che “…beh Gramellini che passa al Corriere è roba forte…” mentre Vinicio Capossela scortato dal pòro Sinibaldi, gran signore come sempre, si scofana un cabaret intero di pastarelle. Al piano superiore sfilano i Vip da Travaglio con l’immancabile LaGioia, Zoro e Zero a cui hanno dato il quarto d’ora d’aria dal firmacopie, Nanni Moretti che commuove leggendo Caro Michele di Natalia Ginzburg, Ascanio Celestini che con il triste aedo cieco Staino si accollano Dario Fo, tutto il salotto buono della cultura italiana a portata di mano di noi poveri mortali in coda mentre le millemila  cover di My favourite thing risuonano nello spazio  Farehneite facendoci sentire  finalmente nel posto giusto. E i libri? Giusto. Libri ovunque come nei nostri più lucidi sogni, o se volete nei nostri peggiori incubi e io credo davvero che molte piccole case editrici si smazzino oltre il ragionevole per tirare avanti pubblicando cose a volte davvero belle, che siano fumetti o coloratissimi libri per bambini, serissimi saggi di filosofia, raccolte di poesia oppure opere prime di giovani . Ma allora perchè diavolo in Italia vengono pubblicate tante porcherie, le stesse che troviamo nelle librerie, le stesse che intasano le classifiche, esattamente le stesse che vengono lette e commentate sui social, sui quali le Blogger sprecano tante energie per recensirle, le stesse che si presentano in tv negli imbarazzanti siparietti sgamati per l’ennesima volta proprio in settimana da Massimiliano Parente nel suo condivisibile articolo su Il Giornale? Di critica manco a parlarne visto che le recensioni non sono altro che le sinossi delle schede delle case editrici e quindi quando Valetudo è tutto bellissimo, i romanzi sono tutti sorprendenti, le storie coinvolgenti e lo storytelling regna ovunque.

Dopo 48 ore ho finalmente scovato una cosa davvero bella: la casa editrice 66TH&2AND che sforna libri bellissimi per grafica, copertina e contenuti. Nella collana Attese si racconta lo sport attraverso la scrittura spaziando tra il calcio il ciclismo e in uscita quest’anno il Premio Pulitzer 20016 Giorni Selvaggi di William Finnegan, un epopea del surf. Per Vite Inattese le grandi biografie Merckx, Pantani, Senna, Michel Jordan e uno straordinario George Best. Faccio due chiacchiere con Michele responsabile editoriale e gli chiedo se anche in Italia potrebbe nascere un editoria che rielabora il mito dello sport come da sempre in America dove attraverso il baseball una nazione intera si riconosce e si ritrova. Quando una cosa del genere sul calcio? La 66TH&2AND punta attraverso i racconti di grandi giornalisti, vedi I Cantaglorie di Giampaolo Ormezzano, che descrive quella che è stata definita “una generazione di giornalisti unica al  mondo” a parlare a chi come noi vive e parla di sport con originalità e competenza. A quanto pare per il calcio dovremo aspettare, magari un giovane Napolista che si cimenti con la fede e con la maglia.

Inutile aggiungere che il budget che avevo destinato agli acquisti è stato dilapidato immediatamente grazie anche ai gadget che quest’anno saranno il pezzo forte dei miei regali di Natale, mentre i libri sono stati già smistati agli amici, bravo leggilo tu e poi mi dici com’è, quindi se cercavate consigli di lettura mi dispiace, non posso aiutarvi per tutto il resto ci risentiamo l’anno prossimo da PiùLibriPiùliberi2017.

Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre da Il Napolista. Un sentito grazie a Massimiliano Gallo.

 

A volte/Sometimes by Irina Koval

25 agosto 2016 § Lascia un commento

Dovremo dirlo ad Irina. Prima o poi

parallel texts: words reflected

A volte

Irina Koval

A volte penso che vorrei avere due lenzuola uguali da mettere sul letto.

Le tende, oh le tende da far sventolare nel vento della sera.

La dieffenbachia nell’angolo della sala con sottovaso in ceramica di Vietri.

E due gatti a pelo lunghissimo che si rincorrono sul tappeto.

Ma poi quel certo odore mi distrae e poco importa della goccia che annerisce la vasca

E la ragnatela che ricama il soffitto mi confida cose che ascolterò poi.

Sometimes

Irina Koval

Sometimes I think I would like to have two exact same sheets to put on my bed.

And curtains, oh and curtains that are swept by the wind at night.

A dieffenbachia in the corner of the dining room in a ceramic vase from Vietri.

And two long-haired cats that chase each other on the rug.

But then that certain smell distracts me and it doesn’t matter if drops…

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25 agosto 2016 § 1 Commento

20160221_125635

A volte penso che vorrei avere due lenzuola uguali da mettere sul letto.

Le tende, oh le tende da far sventolare nel vento della sera.

La dieffenbachia nell’angolo della sala con sottovaso in ceramica di Vietri.

E due gatti a pelo lunghissimo che si rincorrono sul tappeto.

Ma poi quel certo odore mi distrae e poco importa della goccia che annerisce la vasca

E la ragnatela che ricama il soffitto mi confida cose che ascolterò poi.

Irina Koval da Texture 2008

 

 

EN PÀTHEIA

5 luglio 2016 § Lascia un commento

 

 

 

E io ora capisco

Il Polpo immobile sullo scoglio

Ignaro della fiocina del pescatore.

E capisco il gatto nelle grondaia

Che spende la sua quinta vita nascosto

Rantolando nel dolore.

E capisco la seduta di basalto

Che incurante dell’ombra

Rilascia il calore del giorno.

E capisco le braci nella cenere

Indecise tra il vento che le ravviverá

E l’acqua che le spegne.

Quello che non capisco é il Tempo.

Ma mi ripeto come un Mantra

È solo convenzione.

 

Naghib El Alwsrsawi

Poeta Siriano XVII secolo

 

Ma perché non lo ammettete?

16 febbraio 2016 § 2 commenti

20160208_145937Cosa spinge un attempata eterosessuale ad esprimersi sulla proposta di legge Cirinnà senza averne alcuna competenza specifica? Null’altro che un senso di giustizia e un’innata intolleranza all’ipocrisia. Lo scempio umano e legislativo che si sta perpetrando in merito all’esigenza di un regolamento delle Unioni Civili, reclamato in primis dall’Unione Europea, pone in essere una riflessione che deve smascherare una grossa ipocrisia di fondo che, a mio parere, è solo una delle componenti dei tanti aspetti del riconoscimento delle coppie di fatto. Coloro che osteggiano una discussione seria su questo argomento, sostengono in ultima istanza, non potendo sbandierare la propria manifesta omofobia, che i figli noi siano un diritto e su questo mi trovano pienamente concorde: i figli sono un istinto, quello di sopravvivenza e di perpetuazione della specie; è ciò che consente all’essere umano di continuare a vivere in questo pianeta e su questo non vedo come potrebbero il Vaticano o i sostenitori del Familiday non essere d’accordo.
I preti e le suore, da che mondo è mondo, hanno sempre fatto figli, bambini tenuti nascosti o affidati a istituzioni o adottati da coppie sterili. Le persone Lgtb hanno sempre procreato o cavandosela da soli o costretti in una ipocrita famiglia proprio per garantire ai questi bambini dei diritti uguali a tutti gli altri. Certo l’adozione del figlio del coniuge comporterà la trasmissione del cognome, i congedi parentali, la reversibilità della pensione, la successione del patrimonio, nulla di diverso da quello che spetta a tutti gli altri bambini, e allora, qual’è il vero problema?
Ho il sospetto che queste persone non accettino proprio che un omosessuale possa essere Padre o Madre, relegando il ruolo del “diverso” a qualcosa che concerne solo l’aspetto sessuale con tutte le connotazioni negative che, da bigotti frustrati, riescono a concepire: la lussuria, la perversione, il disordine, il vizio. Qualcosa che fanno tutti ma di nascosto, la prostituzione, la devianza, le pulsioni inconfessabili che attanagliano loro stessi per primi e che accostati alla purezza e all’innocenza dei bambini stonano. A me viene in mente l’Eugenetica, le sterilizzazioni forzate dei malati psichici e dei disabili, gli esperimenti atroci del Nazismo, i bambini sottratti ai nativi agli zingari e agli omosessuali, pratiche che fino agli anni cinquanta erano diffuse in Australia, nel NordAmerica e nel civilissimo NordEuropa, e sono sicura che se avessero il coraggio di rispolverare queste pratiche protrebbero racimolare ancora più consensi. Basta solo liberarsi dell’ipocrisia: perchè non lo ammettete?

Nihil sub sole novum

12 gennaio 2016 § Lascia un commento

Un-intervento-di-Ernest-Pignon-Ernest-a-Napoli-2

Io di mestiere faccio l’artigiano perché, come diceva mio padre, non avevo voglia di studiare o più semplicemente perché avevo fretta di affrancarmi dalla famiglia. Nel mio lavoro è necessario collaborare con altre figure professionali, falegnami, doratori, laccatori, tappezzieri, orologiai e Napoli ha una tradizioni ricchissima di manifatture artigiane situate spesso nei posti più improbabili: terranei del centro storico, nei quartieri spagnoli, ai monti, capannoni nei dintorni di Piazza Nazionale, garage a Pianura, insomma il lavoro si connette storicamente al territorio mantenendo viva l’economia della città. Ultimamente mi è capitato di visitare spesso un doratore del centro storico nei pressi di Porta San Gennaro a Foria, un simpatico signore di una sessantina d’anni che svolge il suo onesto mestiere che la sua famiglia si tramanda da tre generazioni; nel suo laboratorio lavorano tre “ giovani di bottega” dall’età media di settant’anni. Tra una chiacchiera e l’altra mi ha raccontato che ha due figli, ormai intorno ai quarant’anni, uno disoccupato e una insegnante precaria, che i tempi sono cambiati e che lui non può fare niente più per loro. Negli ultimi dieci anni Napoli sta vivendo una rinascita turistica importante che sta portando allo sviluppo esponenziale del settore alberghiero e della ristorazione: la maggior parte delle case del centro storico e dei Quartieri spagnoli si trasformano in bed&breakfast, i bassi abbandonati dai napoletani sono laboratori di pasticceria dove si sfornano le sfogliatelle che poi saranno vendute a Via Toledo, il famigerato Lungomare Liberato ospita solo pizzerie, gelaterie e ristoranti: ma spesso il personale è straniero, cingalesi e sudamericani imparano in fretta e hanno voglia di lavorare, si sono organizzati in minuscoli appartamenti, tappezzano la città di manifestini incomprensibili dove annunciano le loro feste, le messe, le gite, hanno aperto asili e scuole dove si impara oltre allo loro lingua anche in italiano, producono ricchezza per la città e per le loro famiglie nei loro paesi d’origine. Nel frattempo molti ragazzi napoletani, quelli nati negli anni 90, che sono cresciuti in famiglie costruite sul precariato e sull’assistenzialismo se non nell’illegalità più totale, scarsamente o per niente scolarizzati, infarciti di modelli culturali di tv spazzatura, votati a status symbol consumistici e costretti ad un tenore di vita inadeguato, senza più il maestro, l’allenatore, il prete, a volte cocainomani già a sedici anni, sono facile preda della camorra e diventano quello che con il solito cannibalismo giornalistico si chiama “la paranza dei bambini” laddove, a quanto pare, nemmeno i vecchi boss possono, o vogliono, più nulla o semplicemente aspettano dietro le quinte. Non che non esistano gli sforzi della società civile ma paradossalmente sono votati sempre e solo al recupero, vedi ad esempio l’ottimo lavoro svolto nell’istituto di detenzione minorile di Nisida sempre alle prese con la burocrazia e la mancanza di fondi o dai preti di quartiere o dall’associazionismo laico, ma mai alla prevenzione, segno dell’ottusità e del disinteresse politico. Marco DeMarco il 6 gennaio su Il Corriere del Mezzogiorno invocava l’intervento dell’esercito a Napoli per fermare l’ondata di omicidi, citando anche Sandro Ruotolo e Gabriella Gribaudi, sottolineando che anche se di buoni maestri e di buona scuola ce n’è sempre bisogno, di fronte all’emergenza occorrono altre soluzioni. Volevo ricordare che da anni nelle cosiddette Terre dei Fuochi, il quadrilatero compreso tra Giugliano, Lago Patria, Casale e Aversa le forze dell’ordine affiancate dall’esercito presenziano tutti gli incroci e non per questo, che io sappia, la camorra ha smesso di fare i propri affari come risulta anche dalle recenti inchieste giudiziarie: è vero, non si spara, ma ciò significa solo che persiste un potere forte che esercita un controllo totale e mantiene un ordine apparente che tranquillizza lo Stato evitando di portare omicidi sulle pagine dei giornali. Intanto è cominciata la campagna elettorale per l’elezione del Sindaco e non si intravede nessun programma né a breve né a medio termine per rilanciare la formazione e l’occupazione in Campania, si perpetuano gli sprechi dei Fondi Europei inutilizzati e si continuano a favorire le corporazioni a scapito dei cittadini. Il Napoli è Campione d’inverno, il presidente De Laurentis deve parlare assolutamente con Maradona, è l’undici gennaio e fuori ci sono 18 gradi, andiamo avanti tranquillamente.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/16_gennaio_06/napoli-contro-camorra-ci-vuole-l-esercito-affiancare-polizia-3bb78066-b471-11e5-984e-c61a0c03baf7.shtm

http://www.lettera43.it/cronaca/napoli-i-bambini-di-paranza-ultima-piaga-di-camorra_43675186510.htm

nella foto un intervento di Ernest-Pignon-Ernest

E di nuovo Capodanno

2 gennaio 2016 § 2 commenti

Credo di aver messo in imbarazzo una mia giovane conterranea durante la Fiera del Libro di Roma quando davanti ad una cerchia di amici provenienti da tutt’Italia ho raccontato i Capodanno Napoletani della mia infanzia, per la precisione più di quarant’anni fa ormai.

Capiamoci, la mia era una famiglia borghese composta da persone dedite a professioni nobili e liberali, prevalentemente cattolica osservante, dedita a santificare le feste riuniti amorevolmente intorno al presepe nel rispetto delle tradizioni: la nonna a capotavola, le creature al tavolo aspartate, ‘a peccerella, si ero io, in piedi sulla sedia a dire la poesia, la processione con il Bambiniello fino a dentro la mangiatoia, cose così insomma però già intorno alle undici e mezza le zie venivano mandate in soffitta a prendere quello che con un eufemistico termine veniva definito il “ buonaugurio” che allo scoccare della mezzanotte si doveva obbligatoriamente ripetere ogni anno.

Veramente la storia cominciava già durante tutto l’anno appena trascorso: si rompeva una tazza? Si sbeccava un piattino? Si cambiava un lavandino? Una sedia perdeva un piede? Non si buttava via niente ma veniva amorevolmente riposto in soffitta o nello scantinato in attesa del capodanno. Ora voglio capire che l’attenzione tutta napoletana sulla questione dei rifiuti era già massima, che l’Asia ancora dovevano inventarla, allora si chiamava NU, Nettezza Urbana, che alla fine forse era meglio smaltire gli imgombranti tutti insieme in un sol botto, ma vedere una tazza di cesso volare dal quarto piano in strada a sei anni sono cose che ti segnano per tutta la vita. E se ti defilavi venivi pure richiamato, “Tiè ‘a nonna pigiate stu bicchiere e menalo abbascio accussì jttamm ‘o viecchio e arriva il nuovo”.

Mia nonna poco sapeva di riti apotropaici ma non avrebbe mai rinunciato al riciclo creativo dell’ultimo dell’anno e penso fu un bene che già novantenne ci abbia lasciato nei primi anni ottanta in tempo per non assistere all’ agognata fine del “buonaugurio”. I botti no, non li sparavamo, giusto due stelline per le creature tanto, come diceva lo zio Pasquale, non avremmo mai potuto competere con il cavalier Maresca del quinto piano, notissimo commerciante del Rettifilo, che per la serata credo ingaggiasse oltre ai parenti tutti una batteria di fuochisti e anche qualche geometra, visto che la mattina dopo bisognava fare puntualmente i sopralluoghi per verificare la staticità delle fondamenta del palazzo. Si fece mai male qualcuno? No che io sappia, ma al mattino il cane Pushi i bisognini li faceva sul terrazzo perchè prima delle tre del pomeriggio la strada pareva il Belice, o il Libano o se preferite Bagdad fino a che gli eroici operatori ecologici, allora si chiamavano munnezzari, non intervenivano con le ruspe, a saperlo Salvini si scompiscerebbe, per rendere percorribile la città.

Provo nostalgia? Non credo, se non per l’infanzia e la famiglia che è scomparsa ma mi piacerebbe che i Napoletani a Capodanno buttassero tutti via qualcosa perchè mia nonna comunque aveva ragione, se non si fa spazio posto per il nuovo non ce n’è e Napoli si sta riempendo di tante cose bellissime e io all’anno nuovo le voglio vedere tutte. Auguri

questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre da Il Napolista

http://www.ilnapolista.it/2015/12/capodanno-napoli/

 

L’AVVERSARIO liberamente ispirato da…

4 dicembre 2015 § 1 Commento

carrere

 

Terry si è alzata anche stamattina alle cinque e un quarto; in silenzio è già riuscita a stendere una lavatrice mentre decideva il pranzo scongelando verdure e pane, dare una botta di ferro da stiro alla camicetta che metterà per uscire e ai pantaloni di Massimo, spicciare la gatta che col tempo ha imparato a non miagolare al mattino e dare un’occhiata ai conti del locale. Dieci minuti per truccarsi e passarsi una spazzola nei capelli, ricordarsi oggi di chiamare il parrucchiere, giacca, chiavi, ombrello, lasciare i 50 euro sulla mensola per le spese minute ed infilare la porta. A quest’ora il paese sonnecchia ancora e il traffico è scarso, Terry ha preso l’abitudine di fermarsi al bar vicino al lago per un cornetto e il caffè, né troppo vicino a casa né troppo distante, tanto tra qualche giorno andrà da un altra parte prima che il barista si ricordi di lei e cominci a diventare troppo gentile. Poi parcheggia al sole e si regala un ora di lettura dei giornali, un paio di messaggi su wattsup con il fratello, che se non la sente ogni mattina è capace di piantare un casino, mentre si fanno le otto e si può avviare. Oggi va dalla madre, come tutti i mercoledì e venerdì, e in fondo le è grata di questa opportunità anche se sa benissimo che i loro rapporti non sono mai stati facili e adesso sente che ogni giorno il terreno è sempre più minato. La madre era in cucina davanti al terzo caffè e l’ennesima sigaretta e Terry si storza di sorriderle immaginando tutte le preghiere che già aveva pregato dall’alba quando, svegliatasi infreddolita dal coma notturno nel quale piombava tutte le sere, si inginocchiava davanti all’altarino dei suoi morti. Se fosse ancora vivo tuo padre, era il mantra che le adava ripetendo da mesi, e così lei buttava un’occhiata alla foto plastificata che in compagnia delle nonne, le zie, le commarelle e tutto il paradiso riunito svettava sul comò finto ottocento; ma che avrebbe potuto farci suo padre davanti a tutta quella sfortuna che si portava appresso? Oggi facciamo il cambio si stagione, sentenzia la madre, chè non ne posso più dei tuoi panni estivi in giro; in fondo era meglio così, almeno l’avrebbe tenuta occupata fino alle tre quando si sarebbe fatto un orario plausibile per tornare a casa. Mentre cominciava a piegare e stirare la sua roba squilla il telefono, stamattina Massimo, si è svegliato presto pensa, riuscendolo a liquidare in tre minuti con la scusa di una riunione in teleconferenza; registra mentalmente le sue lamentele sulla serata al locale, pochi clienti, il lavapiatti svogliato come sempre, le tovaglie non abbastanza smacchiate e, a proposito, la terza rata della Tarsu in scadenza venerdì. Ci mancava anche questa, pensa, del resto era un compito suo far quadrare il bilancio familiare; per fortuna che col suo stipendio poteva fronteggiare gli imprevisti, si erano detti lei e Massimo due anni prima, quando appena conosciutisi decisero di prendere in gestione quel piccolo ristorantino sul porto. All’inizio i soci erano tre, ma ben presto le cose si complicarono; il primo scomparve quasi subito preferendo un lavoro di cuoco stipendiato, col secondo le cose andarono ancora peggio: una sera dopo la chiusura e dopo l’ennesimo litigio Massimo lo scaraventò fuori e procurandosi un paio di ammaccature e una causa per lesioni personali che l’anno prossimo sarebbe arrivata in udienza. No, lui non aveva un buon carattere, era sempre irritabile e scontento, ma le mani addosso non gliele aveva mai messe, o almeno lei non chiamava violenza tutto quell’astio e quella freddezza che le riservava quando tornava a casa alle tre del mattino nervoso per il lavoro sempre più stentato o quella sera che la spinse giù per le scale in preda ad una crisi di rabbia. Mentre per la casa si diffondeva un inconfondibile odore di cavolo che la madre stava preparando per pranzo lei si sente improvvisamente stanca e si siede alla scrivania dove per anni aveva preparato gli esami universitari; era stata sempre una ragazza quadrata, aveva ottenuto velocemente una laurea e subito trovato lavoro in una banca d’affari facendo carriera grazie alla serietà e alla dedizione che metteva in tutto ciò che faceva. Era stimata dai colleghi e dai superiori, era spesso in giro per lavoro, guadagnava bene, aveva un buon fidanzato, ma dopo sette anni Gianni, il suo ragazzo storico del liceo aveva cominciato ad andargli stretto: i suoi venerdì sera a cena fuori, le domeniche dalla suocera, le vacanze nel Cilento, i suoi immancabili amici già sposati o in procinto di, erano di una noia mortale. Così quando in vacanza al club conobbe questo istruttore di vela subito se ne innamorò: per Gianni fu un colpo terribile e il resto ce lo aggiunsero le famiglie che già li pensavano sposati con un paio di marmocchi da viziare ma lei fu irremovibile: si meritava un’altra vita, più autentica confessò al fratello sconvolto che di Gianni era il miglior amico da sempre. Nè il carattere nè  la precarietà lavorativa di Massimo la fecero dubitare contando sulle sue forze ed il suo entusiasmo e i primi tempi sembrò funzionare; lei usciva la mattina per andare in ufficio mentre Massimo dormiva ancora e tornava alle sei quando lui apriva il locale. Arrivava sempre piena di idee per rinnovare i menù abbellire la sala e anche i fornitori da pagare le sembravano un prezzo non troppo alto per la sua felicità. “Terry ‘a mamma è pronto” riesce a sentire tra gli urletti della onnipresente Clerici; stacca il ferro e si avvia verso la cucina ma lo stomaco a quest’ora era sempre chiuso e pensa che ingurgitare la pasta e cavoli le sarebbe stato quasi impossibile. “Ha detto Clara che domani deve portate Tonino a fare la vaccinazione ma ti lascia le chiavi nel vaso al solito posto…” certo, martedì e giovedì dal fratello, anzi dalla cognata visto che il fratello lavorava a Secondigliano dalle 7.30 alle 17 e meno male che ci mancava pure il terzo figlio a quei due. Il pranzo si risolve in cinque minuti nel solito silenzio opprimente, spicciati quei due piatti Terry si getta sul divano conscia che deve tirare almeno un’altra ora in compagnia della madre che per fortuna comincia a perdere colpi; con la mente è già a casa, chissà Massimo cosa starà facendo, magari è in giro in barca, la giornata è buona per fare un po di traina, deve chiamare ancora il parrucchiere, non è normale andare in ufficio con sti capelli. Quando a febbraio il direttore la convocò si vociferava di tagli al personale ma lei si sentiva sicura: in fondo era una dipendente affidabile, in tutti quegli anni non aveva mai creato problemi, aveva perfino rinunciato alla maternità, tanto a 40 anni una lo capisce che certe cose non fanno per te, si ripeteva, e quindi la prospettiva di sei mesi di ” pausa” così lo definì il capo, non le sembrò poi tanto inquietante. Tornata a casa quella serà però Massimo era particolarmente nervoso e lei non se la sentì di parlargliene, in fondo sei mesi passano presto, perchè dargli altre preoccupazioni, qualcosa ho ancora da parte e la  cassa integrazione dovrebbe coprire almeno tre quarti dello stipendio, ce la faremo, pensò. Per i primi giorni si limitò ad uscire la mattina e gironzolare tutta la giornata per la città, qualche malattia in più, una settimana di ferie straordinaria, ma poi il fratello per caso passò una mattina in uffico e la scoprì e così lei fu costretta ad ammettere di condurre una doppia vita; più che parlagli, in effetti, eresse un muro davanti al quale nessuno potè nulla, erano solo fatti suoi e col tempo avrebbe trovato una soluzione. Ma dopo sei mesi era arrivata la lettera di licenziamento e Terry fu costretta a dirlo alla madre che ancora si gingillava con servizi di posate e corredi, la terra dei nonni al paese fu venduta, del resto una metà era sua, e mise da parte una discreta cifra che senza imprevisti le avrebbe garantito qualche anno di serenità. Ma oggi non erano i soldi a preoccuparla; da un po aveva cominciato a sentire la pietà della gente, ormai a quanto pare lo sapevano tutti tranne Massimo, gliela leggeva negli occhi, negli atteggiamenti, per strada si era accorta che  a volte le amiche cambiavano marciapiede per non incontrarla, vigliacche senza palle, pensava, sempre a lamentarsi della propria vita e dei propri mariti e mai nessuna che abbia il coraggio di affrontare la realtà. Terry si sente nel giusto, sta lottando per salvare il suo rapporto e prima o poi le cose si sarebbero aggiustate, deve solo ricordarsi di chiamare il parrucchiere perché in ufficio non ci si presenta così.

Questa è una storia vera, il rimando al libro di Carrere è frutto della mia mente perversa, ci auguriamo tutti che Terry ne esca meglio.

Sardegna per scelta

1 ottobre 2015 § Lascia un commento

Lo ammetto: siamo viaggiatori anomali. Vorremo essere tanto “vedo tutto, spendo niente” ma ci riduciamo a ” vedo tanti posti, spendo un sacco di soldi”, perchè se a cinquant’ anni sbarchi per la prima volta in Sardegna scegliendo volutamente di non avere un itinerario questa è la fine che fai, soprattutto se ti fai guidare dall’istinto e dalla bellezza che di solito non sbagliano, è vero, ma ti portano a macinare tanti chilometri e a toglierti tutti gli sfizi. Sono molto tentata dal raccontarvi le mie impressioni ma dopo dieci giorni davanti ad una pagina bianca capisco che non ne verrà fuori nulla di originale, e allora mi limiterò a raccontare una cosa sola.

Arriviamo ad Orgosolo (NU) in piena notte e ci rifugiamo nell’agriturismo ospitati nel nostro nurago iperaccessoriato; al mattino ci svegliamo con le voci dei ragazzi che cominciano ad allestire ” Il Pranzo col Pastore” . Una decina di persone lavorano nel bosco sistemando le panche e i tronchi, chi riempie i silos di vino e di acqua, chi lava i bicchieri di coccio; i macellai infilano i porceddi sugli spiedi e accendono il fuoco mentre altri incominciano a sbucciare quintali di patate. Si affettano salumi e formaggi, si dispone il carasau appena arrivato dal forno sulle sughere e noi ci sediamo ad ascoltare i loro discorsi: cose normali, problemi di figli, stipendi, il nuovo attaccante del Supramonte, tutto in un dialetto difficilmente comprensibile. Andiamo via per fare un giro tra i monti e torniamo dopo pranzo trovando un’atmosfera completamente diversa: all’ingresso del campeggio due pulman turistici hanno appena sbarcato un centinaio di turisti francesi che pascolano nel bosco in evidente stato di ebrezza; cocci sporchi ovunque, la brace vuota che fuma copiosamente e gli uomini che prima lavoravano armoniosamente stanno in un angolo fissando la scena: uno di loro con uno sforzo sovraumano imbraccia una fisarmonica dando inizio ad un penoso ballo dell’orso di una coppia di anziani alticci, una specie di sirtaki dalle sonorità dolenti, mentre si accingono ad offrire l’ultimo giro di mirto. Filiamo via in piscina sdegnati nel nostro ipocrita politically correct rimpiangendo l’abbandono delle istituzioni che costringono i giovani alla mercificazione delle loro tradizioni bla bla bla…

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La mattina dopo ripartiamo puntando sul paese per fotografare i famosi Murales di Orgosolo: al quinto giro tra viuzze impercorribili ne scoviamo uno particolarmente bello sulla facciata di una casetta modesta davanti alla quale staziona un un uomo anziano vestito, nonostante i 35 gradi settembrini, di tutto punto, maglia della salute e cappello regolamentare in testa che ci osserva scendere dall’auto e apprestarci a fotografare. A gesti gli chiedo il permesso e lui mi risponde come mettendosi in posa, con lo sguardo rivolto altrove manifestando indifferenza: scatto ringrazio e faccio per allontanarmi ma lui mi viene incontro e mi dice: “Signora, qui dietro ce n’è un altro”. Ecco questo ho capito della Sardegna: una terra dove l’uomo non ce l’ha fatta ma quando c’è riuscito ne va immensamente fiero.